Giorgio Armani: Il tratto preciso che ha ridisegnato la silhouette italiana
- Eduardo Montoya
- 4 lug
- Tempo di lettura: 2 min
Al numero 11 di Via Borgonuovo, nel cuore del quartiere Brera a Milano, Giorgio Armani ha costruito qualcosa di più di un impero della moda, ha creato una sorta di microcosmo governato dall’ordine, dalla geometria e dal controllo assoluto del dettaglio. Qui convivono la sua residenza, il suo ufficio creativo, il suo archivio, un hotel e il suo ristorante preferito. Tutto segue lo stesso ritmo visivo, pareti pulite, legni scuri, texture sobrie, volumi contenuti. Lo spazio parla — a bassa voce — la lingua del suo creatore.

Nato a Piacenza nel 1934, Armani non sembrava destinato all’ago e al filo. Studiò medicina e più tardi lavorò come vetrinista alla Rinascente. Il suo ingresso nel mondo della moda fu graduale, quasi come chi scivola in silenzio in una stanza piena di specchi. Nel 1975 fondò il proprio marchio insieme a Sergio Galeotti. In poco tempo stava già modificando la grammatica dell’abbigliamento maschile con giacche che rinunciavano alla fodera e smontavano la rigidità del completo tradizionale. Fu una rivoluzione silenziosa, meno imposizione, più libertà.

Hollywood lo scoprì negli anni Ottanta. I suoi abiti apparvero in American Gigolo e con essi emerse un nuovo tipo di eroe contemporaneo, più fluido, meno rumoroso. Mentre altri stilisti della sua generazione si muovevano nel clamore, Armani preferiva una sartoria quasi architettonica. Nelle sue sfilate, come nei suoi spazi, la linea pesa più dell’ornamento. I suoi interni — che si tratti della lobby dell’Armani Hotel Dubai o della sua villa a Pantelleria — si muovono con la stessa cadenza dei suoi abiti, tutto risponde a una medesima disciplina visiva.

Ciò che distingue Armani non è un’ossessione per il lusso, ma la sua ricerca della moderazione senza perdere la forza estetica. Non veste per provocare, ma per sostenere. Nelle sue collezioni, il nero non è mai teatrale e il grigio non è un riempitivo, sono strutture. Persino i suoi profumi seguono questa logica. «Non voglio impressionare, voglio durare», disse una volta. E forse è proprio questo che spiega perché il suo impero — nonostante mode, crisi ed eredi invisibili — continui a resistere.

Nel suo universo non c’è spazio per il superfluo. Giorgio Armani ha fatto della misura una dichiarazione di intenti. E, per quanto possa sembrare paradossale, è proprio questa economia del gesto ad avergli assicurato un posto permanente nella cultura visiva del XX secolo e di ciò che è già iniziato del XXI.
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